When members of two groups come into contact with one
another in a series of activities that embody goals which each
urgently desires, but which can be attained by one group only
at the expense of the other, competitive activity toward the
goal changes, over time, into hostility between
the groups and their members.
Muzafer Sherif, 1966
Nel 1965 lo studioso statunitense Donald Campbell elabora La Teoria dei Conflitti Realistici o Realistic Conflict Theory che, tra le altre cose, spiega come la conflittualità tra gruppi diversi aumenta quando questi si trovano in competizione per delle risorse limitate. I gruppi possono trovarsi a competere per una reale o presunta scarsità di risorse, includendo con questo termine qualsiasi genere di valore (denaro, potere politico, forza militare, status sociale). Nell’esperimento di Robbers Cave1, svolto da Muzafer Sherif nel 1954 in un campo estivo, vennero coinvolti 22 ragazzini. Tutti i partecipanti avevano un’età compresa tra gli 11 e i 12 anni, provenivano da famiglie bianche e protestanti di classe media e frequentavano diversi istituti di Oklahoma City. La ricerca prevedeva tre fasi:
- analisi della formazione del gruppo: i ragazzi svolgevano esclusivamente attività sportive comuni, come il nuoto e l’escursionismo, ma dopo circa una settimana, venivano divisi in maniera casuale in due distinti gruppi, con l’obiettivo di osservare l’evoluzione delle abitudini e delle gerarchie interne;
- emersione del conflitto: i ricercatori assegnavano ai due gruppi dei compiti competitivi tramite l’organizzazione di gare sportive in cui il gruppo vincitore si sarebbe aggiudicato un premio; di conseguenza le relazioni tra i gruppi si deterioravano velocemente, alimentando le ostilità e favorendo la formazione di stereotipi negativi, tanto che gli atteggiamenti aggressivi non cessavano nemmeno al termine delle situazioni competitive;
- analisi dei fattori determinanti la fine dell’astio: veniva introdotto uno scopo sovraordinato e di innegabile beneficio per entrambi i gruppi, dovendo affrontare un problema comune; l’ostilità, la tensione e la violenza strisciante sembravano placarsi, tornando così ad essere cooperativi e facendo riemergere le simpatie iniziali, antecedenti alla formazione dei gruppi.
Secondo i ricercatori, l’esperimento di Robbers Cave metteva in luce che:
- l’ostilità e l’aggressività tra i gruppi aumenta quando questi competono per risorse limitate;
- il solo contatto tra i gruppi non è sufficiente per ridurre le attitudini negative;
- l’ostilità tra i gruppi può essere mitigata e si possono instaurare relazioni positive tra essi solo in presenza di obiettivi superiori che richiedano azioni unitarie e cooperative.
Esperimenti e osservazioni successive hanno confermato che la sola divisione arbitraria o casuale comporta bias valutativi di superiorità del proprio gruppo di appartenenza rispetto agli altri; Similmente anche la competizione per risorse effimere o immaginarie produce un certo livello di ostilità. Tali dinamiche sono osservabili nei conflitti etnici e religiosi o tra le fazioni politiche, generalmente collegate alle questioni identitarie. I processi di formazione del senso d’identità e di appartenenza tuttavia afferiscono a molteplici livelli, macroscopici (come nel caso delle comunità di carattere religioso o politico) e microscopici (ad esempio l’appartenenza a una contrada o alla tifoseria della squadra sportiva locale). Nel mondo sportivo la competizione tra individui e gruppi (o squadre) per le risorse (o punti e trofei), ha un carattere di sistema. Dalla sua nascita, circa 250-300 anni fa2 , lo sport ha acquisito un’importanza sempre maggiore ed è stato via via più adottato, come modello o per convenienza, in vari settori della società: dall’istruzione al marketing, dall’economia alla politica, fino alla gestione d’impresa: un fiorire di testimonial, sponsor, consulenti in leadership e team building, motivatori, e così via. Gli aspetti retorici e metaforici della narrativa sportiva spesso assumono persino un valore concreto e producono effetti tangibili nella realtà quotidiana, diventando determinanti in scelte che nulla hanno a che fare con lo sport, come la scelta delle amicizie, di un prodotto commerciale, di una meta turistica o persino su chi assumere per un posto di lavoro.
Il calcio è una metafora della vita
Jean Paul Sartre
Analizzando l’uso del linguaggio metaforico, è interessante notare come, ad esempio nel racconto del calcio, lo sport più popolare in Italia, la cronaca giornalistica sportiva attinga in maniera sistematica alla retorica militaresca per descrivere lo scontro agonistico: Ormezzano in merito osserva che “nel mondo del calcio si combattono o quanto meno si fronteggiano tantissime tribù, che pure convivono a livello di koinè, di lingua o gergo comune”3. La metafora della guerra nei resoconti calcistici è quasi sempre presente, tra formazioni avversarie schierate che si fronteggiano o si affrontano in un campo di battaglia per il conseguimento di un risultato utile, per contendersi il primato, il titolo, per vincere lo scudetto (distintivo militare) o per guadagnare la posizione in classifica. Una partita di calcio si gioca tra le linee difensive, con attacchi e contrattacchi; può risolversi in una vittoria schiacciante o in una resa, una disfatta, una sconfitta. Il racconto del calcio è una sublimazione della lotta e dello scontro, che genera campanilismi e fervore popolare. Come in guerra ci sono schemi tattici e formazioni, schieramenti, strategie di aggiramento, trappole, capitani, duelli, cannonate, missili, bombe, cecchini, corazzate, panzer, sfondamenti, brecce, bunker, fortini, roccaforti, rinforzi etc. Compare anche il termine guerriglia con il senso di tafferugli o scontri tra le tifoserie opposte (“guerriglia ultras”)4. Relegare il naturale bisogno di fare attività fisica, anche ad alto livello, ai soli contesti competitivi dello sport, incanala le emozioni dei partecipanti e degli spettatori verso l’ostilità: è richiesta la “cattiveria agonistica” (cattiveria deriva dal latino captivus, prigioniero: è l’aggressività indotta dalla frustrazione che esprime chi si trova recluso, ristretto, schiavo). Per quanto la retorica del fair play, del gioco di squadra, dei valori sani, dei terzi tempi, eccetera, abbiano indubbiamente la funzione di mitigare l’ostilità, non si vince senza la giusta dose di quest’ultima. Aggressività e violenza vanno controllate e utilizzate, nei limiti del regolamento particolare (che non impedisce, piuttosto sanziona). Lo sport è uno dei pochi contesti che dà propriamente sfogo a sentimenti conflittuali, con una funzione catartica, essendo uno dei pochi contesti socialmente riconosciuti in cui sono non solo accettati e consoni, ma anzi previsti e auspicati. Similmente, anche in secoli passati altri tipi di giochi e tornei truculenti servivano ad ammaliare e placare le folle, diminuendo il rischio di disordini e rivolte per le misere condizioni di vita delle masse nei grandi centri urbani sovraffollati. «In un certo senso, dunque, lo sport, attività dai forti contenuti emozionali, dagli esiti imprevedibili e insieme retta da regole oggettive, è la più convincente metafora del conflitto e della stessa modernità»5
When people in sporting establishments buy their tickets they know exactly what is going
to take place; and that is exactly what does take place once they are in their seats: viz. highly
trained persons developing their peculiar powers in the way most suited to them, with the
greatest sense of responsibility yet in such a way as to make one feel that they are doing it
primarily for their own fun.
Bertolt Brecht, 1926
Tony Collins, uno storico sociale britannico specializzato in storia dello sport, afferma che:
Lo sport è una forma di intrattenimento unica nel suo genere, perché offre un’esperienza emotiva coinvolgente in cui lo spettatore, come il giocatore, può vivere l’intensità dei sentimenti umani, come la gioia e la disperazione, senza i rischi che questi sentimenti generano nella vita quotidiana. Diversamente da altre forme di intrattenimento, lo spettatore sportivo non è passivo, può partecipare agli eventi e le manifestazioni, sia attraverso le scommesse, sia attraverso l’identificazione con i partecipanti o semplicemente contribuendo all’atmosfera negli stadi o nei palazzetti. Proprio perché offre l’opportunità di identificazione personale con un giocatore o una squadra, lo sport fornisce un significato sociale amplificato rispetto alle altre forme di intrattenimento. E ogni singola partita possiede la possibilità sempre presente di bellezza, grandezza, trionfo, tragedia ed espressione creativa di sé, sia sul diamante, al wicket, in pista, sul ring o sul campo di calcio. Non c’è da meravigliarsi se i giganti aziendali e le imprese locali cercano di trarre profitto da un cocktail così potente. L’idea che lo sport sia stato dirottato dai proprietari di squadre o mercificato da interessi aziendali non riesce a capire che lo sport moderno è esso stesso una creazione del capitalismo. Non c’è mai stato un tempo in cui il calcio, il baseball o qualsiasi altro sport moderno fosse praticato dalle persone per puro divertimento. (…) Lo sport non è mai appartenuto ai partecipanti o ai sostenitori più di quanto l’industria cinematografica sia appartenuta agli attori o agli spettatori. In effetti, il moderno sport ricreativo e partecipativo è un facsimile di sport commerciale, d’élite, praticato secondo le stesse regole e regolamenti, molti dei quali sono stati introdotti per motivi di profitto. Come ha dimostrato la sua evoluzione negli ultimi 250 anni, lo sport come attività non è prima di tutto una forma di gioco – corrotto o meno – ma un tipo di intrattenimento commerciale, analogo al teatro, al cinema o alla musica pop. Lo sport ricreativo praticato per divertimento ha lo stesso rapporto con lo sport commerciale che ha la recitazione amatoriale con Broadway o un coro locale con la Scala. Si può inoltre osservare che né il teatro né l’opera si arrogano la certezza morale assunta dallo sport6.
D’altro canto ci sono stati e ci sono ancora molti esempi di attività, giochi o discipline largamente diffuse e praticate, anche ad alti livelli, con o senza alcuna forma di competizione diretta tra singoli, e fuori dalla sfera dello sport. In alcuni casi avviene un processo di “sportificazione”7, mentre in altri si riesce a mantenere un carattere originale, rimanendo fuori dall’industria dell’intrattenimento sportivo commerciale; va da sé che questi ultimi siano i meno attenzionati dai media e dagli investitori, mancando di un potenziale ritorno economico. Non per questo, ovviamente, hanno meno valore in senso assoluto, anzi possono rappresentare delle valide alternative non solo nei campi dell’intrattenimento e della socialità, ma anche dell’educazione e del benessere, in quanto propongono dei modelli a cui potersi ispirare per migliorare sé stessi e anche, in fin dei conti, per costruire una società migliore, poiché intendono il senso della sfida più come ricerca ed esplorazione, a vantaggio anche della collettività, piuttosto che come scontro e conflitto a vantaggio di una parte sull’altra.
𓃵
1Consultato all’indirizzo web https://psychclassics.yorku.ca/Sherif/index.htm in data 30/08/2022.
2Pur se l’origine del termine “sport” compare nella lingua inglese già a partire dal 1532 col significato di “divertimento” (dal francese antico desport), l’accezione corrente del termine viene fatta risalire agli inizi del diciottesimo secolo: è del 1710 l’apertura della prima Accademia d’armi a Londra, ad opera di James Figg, un noto spadaccino che si era dichiarato campione nazionale, dove, oltre a mettere in scena combattimenti, si offrivano anche lezioni della “nobile scienza dell’autodifesa”. Risale invece al 1727 la pubblicazione di quello che sarebbe diventato il Racing Calendar di John Cheyney (con le sue liste di corridori, corse e fantini), attestando per la prima volta, in forma embrionale, l’organizzazione di uno sport su base nazionale. Si veda l’opera di Collins T., Sport in capitalist society, Routledge, 2013.
3G.P. Ormezzano, Tutto il calcio parola per parola, 1997, Editori Riuniti.
4A. Szemberska, “Il calcio e’ una metafora della vita” (Jean Paul Sartre). Metafora nel linguaggio della cronaca di calcio italiana nei quotidiani a stampa e on line, 2009, Studia Romanica Posnaniensia.
5N. Porro, Lineamenti di Sociologia dello Sport, Carocci Editore, 2011, p. 25.
6T. Collins, Sport in capitalist society, Routledge, 2013, p. 127 (tradotto e riadattato).
7Dall’inglese Sportification, termine introdotto dal sociologo tedesco Norbert Elias negli anni ottanta. Secondo Orin Starn, docente di antropologia culturale e studioso di sport e società alla Duke University, per “sportificazione” si intende quel processo che tende a convogliare, indirizzare, plasmare ed adattare attività varie nate per scopi specifici al fine di renderle “sport”, o anche solo a leggere ed identificarle come attività sportiva (tratto da: https://lidiapisano.wordpress.com/2019/09/13/sportificazione-che-cosa-significa/).
Bibliografia:
- Campbell D.T., Stereotypes and perception of group differences, American Psychologist, 1967.
- Collins T., Sport in capitalist society, Routledge, 2013.
- Ormezzano G.P., Tutto il calcio parola per parola, 1997, Editori Riuniti.
- Sherif M., Harvey O.J., White B.J., Hood W. & Sherif C.W., Intergroup Conflict and Cooperation: The Robbers Cave Experiment, The University Book Exchange, Norman, 1961.
- Szemberska A., “Il calcio e’ una metafora della vita” (Jean Paul Sartre). Metafora nel linguaggio della cronaca di calcio italiana nei quotidiani a stampa e on line, Studia Romanica Posnaniensia, 2009.
Sitografia:
Intergroup Conflict and Cooperation: The Robbers Cave Experiment – Muzafer Sherif, O. J. Harvey, B. Jack White, William R. Hood, Carolyn W. Sherif (1954/1961). Classics in the History of Psychology, An internet resource developed by Christopher D. Green, York University, Toronto, Ontario. http://www.livrosgratis.com.br/ler-livro-online- 119231/intergroup-conflict-andcooperation–the-robbers-cave-experiment [Consultato il 10/9/2022].