COSTRUIRE SULL’ERRORE: LA PEDAGOGIA DEL FALLIMENTO - ADD Italia ADD Italia

COSTRUIRE SULL’ERRORE:
LA PEDAGOGIA DEL FALLIMENTO

«Non hai mai commesso un errore se non hai mai provato qualcosa di nuovo.»
Albert Einstein

L’essere umano, per il bisogno intrinseco di acquisire padronanza e controllo dell’ambiente nelle sue diverse parti o aspetti, è naturalmente motivato all’esplorazione e alla libera sperimentazione. Secondo lo psicologo Robert White, la motivazione intrinseca a padroneggiare e controllare l’ambiente e le situazioni, allo stesso modo del sentirsi competenti ed efficaci, è una necessità di base come cibo e acqua, e non un “bisogno da deficit”, come la fame e la sete, che una volta soddisfatto, poi scompare per qualche ora; piuttosto si tratta di un’esigenza sempre presente nelle nostre vite. White chiama questo bisogno intrinseco di affrontare in modo adeguato l’ambiente “effectance”, caratteristica che sarebbe alla base del comportamento esplorativo. Ma cosa accade quando questi tentativi di padronanza e controllo vengono allenati costantemente, come nell’Art Du Déplacement? Praticare l’ADD implica una sfida personale continua, una tensione perenne ad aumentare le proprie capacità, finalizzata al controllo e all’adattamento del proprio corpo/mente attraverso il movimento nell’ambiente circostante. Bisogna passare attraverso una serie di errori ed insuccessi per individuare e definire il proprio limite e lavorare sodo per superarlo, trasformando una difficoltà in una risorsa. 


Per la psicologa statunitense Susan Harter in Il diritto di sbagliare (1978, 1982) il rapporto dell’individuo con il successo o l’insuccesso gioca un ruolo importante sulla motivazione. Determinante è il ruolo di quella che definisce la “sfida ottimale”: si ottiene infatti la massima gratificazione quando i fortunati tentativi di padroneggiare l’ambiente rappresentano un grado ottimale di difficoltà. L’effectance risulta così accresciuta per effetto sia della percezione dell’aumento della propria competenza e del proprio controllo sull’ambiente, sia della soddisfazione intrinseca per il successo raggiunto in compiti di un livello ottimale di difficoltà. Nel percorso di apprendimento dell’Art Du Déplacement si sperimentano però anche processi che, attraverso il fallimento relativo ad una sfida “non ottimale”, portano all’analisi dell’insuccesso e di conseguenza alla riprogrammazione/rinforzo delle azioni destinate al superamento delle difficoltà incontrate. Questa capacità di risolvere problemi (sul breve, medio e lungo periodo) viene messa alla prova e stimolata sin dal primo giorno di pratica. È importante capire che il successo in un’impresa molto difficile è un obiettivo scalabile e adattabile e che la dedizione, il tempo e la motivazione giocano un ruolo fondamentale per il completamento del processo ed il raggiungimento del risultato. Nella crescita e nella formazione personale sono fondamentali le fasi dell’accettazione del fallimento, della comprensione degli errori, della metabolizzazione dell’insuccesso e della conseguente rielaborazione di un’alternativa di successo. 


Bisogna essere disposti a porsi di fronte alla prospettiva di commettere errori per imparare da essi, e ad attraversare la sofferenza e la frustrazione, per giungere infine all’auto-miglioramento. Questa competenza, questa disposizione d’animo, non attiene esclusivamente alla pratica della disciplina, ma diventa, come è facilmente comprensibile, una risorsa per la vita quotidiana. Una risorsa sempre più importante in quanto, come ha sostenuto recentemente il filosofo tedesco Byung-Chul Han in La società senza dolore (2021), viviamo oggi in una società dal carattere palliativo, una società che tende sempre di più ad evitare dolore e sofferenze, e l’estrema cautela che caratterizza ormai le nostre vite, aumentata a dismisura dalla pandemia, è solo il sintomo di una condizione precedente: 

«La società palliativa coincide con la società della prestazione. Il dolore viene interpretato come un segno di debolezza, qualcosa da nascondere o da eliminare in nome dell’ottimizzazione. Esso non è compatibile con la performance. La passività della sofferenza non ha alcun posto nella società attiva dominata dal poter fare. Oggi il dolore viene privato di qualsiasi possibilità di espressione: viene condannato a tacere. La società palliativa non permette di animare, verbalizzare il dolore facendone una passione.
La società palliativa è inoltre una società del mi piace, che cade vittima della mania di voler piacere. Ogni cosa viene lucidata finché non suscita approvazione. il like è l’emblema, il vero e proprio analgesico della contemporaneità, Non domina solo i social media, ma anche tutti gli ambiti della cultura. Nulla deve più far male. Non solo l’arte, ma anche la vita stessa deve essere instagrammabile, ovvero priva di angoli e spigoli, di conflitti e contraddizioni che potrebbero provocare dolore. Ci si scorda che il dolore purifica, emana un effetto catartico. Alla cultura della compiacenza manca la possibilità della catarsi. Per cui si soffoca tra le scorie della positività che vanno accumulandosi sotto la superficie della cultura della compiacenza.»

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White, R. W. (1959). Motivation reconsidered: The concept of competence. Psychological Review, 66(5), 297–333.

White, R. W. (1969). Competence and the growth of personality. Science and Psychoanalysis, 11, 42–49.

Harter, S. (1974). Pleasure derived by children from cognitive challenge and mastery. Child Development, 45, 661-669

Byung-Chul Han (2020). Palliativgesellschaft Schmerz heute. Msb Matthes & Seitz Berlin Verlagsgesellschaft Mbh – (La società senza dolore, 2021. Einaudi Editore)

Susan Harter (1978, 1982) – Il diritto di sbagliare

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