Nella società occidentale moderna c’è una crescente tendenza a salvaguardare la sicurezza dei bambini e degli adolescenti in tutte le aree, incluse le situazioni di gioco e attività fisica. Un’esagerazione in questa direzione può essere problematica poiché, se da una parte bisogna evitare che si verifichino infortuni, dall’altra i bambini potrebbero necessitare di stimoli e sfide sempre diversi per avere un naturale sviluppo psico-fisico; privarli di tali attività può comportare lo sviluppo di un carattere più facilmente soggetto a paure di vario tipo (Kennair, 2011).
D’altra parte, la propensione verso attività rischiose o spaventose e quanto queste vengano accolte favorevolmente dipende dall’inclinazione del singolo bambino, dalle sue esperienze passate e persino dal sesso (Sandseter, 2012).
Molte delle decisioni che riguardano i rischi nello svolgersi di attività motorie vengono prese dagli adulti, dall’istruttore, dall’allenatore; ma Bundy ha riscontrato che più che gestire la sicurezza dei bambini, l’insegnante in genere gestisce le proprie paure, come essere giudicato dai colleghi oppure subire ritorsioni legali; inoltre il timore stesso che il bambino possa infortunarsi deriva spesso da esperienze pregresse e negative del tutore (Bundy, 2009). Ancora, il costrutto mentale che può avere l’insegnante dello studente influenza notevolmente il suo modo di approcciarvisi: chi avrà un’idea dell’individuo come vulnerabile o spericolato non lo porrà in situazioni che richiedono gestione di rischio; se invece ne avrà un’opinione eccessivamente alta, potrebbe porlo in circostanze che non è in grado di gestire. Le relazioni con i genitori del minore possono inoltre influenzare grandemente quanto il tutore si sentirà libero o meno di coinvolgerlo in attività di rischio e da questo nasce la necessità di sviluppare con essi un rapporto collaborativo (Nestead, 2016).É importante che la figura di riferimento sia ben consapevole delle forze che possono influenzarlo nelle decisioni riguardo i rischi del bambino e dell’adolescente perché possa prendere, caso per caso e momento per momento, la scelta giusta.A tal proposito, si richiama un passaggio di Nestead:
“I tutori devono soppesare tutti gli elementi che possono esser d’influenza, tener conto delle varie implicazioni pratiche, ideologiche e culturali, dei bambini e dell’ambiente in cui svolgono l’attività e dar a questi ultimi due fattori la priorità nel decidere quale possa essere un adeguato intervento.“
Secondo Smith, il modo ottimale per gestire attività di rischio per i bambini è quello di permettere loro di svolgerle più liberamente possibile in un contesto relativamente sicuro (Smith, 1998). Attraverso la guida individuale di ciascun bambino, con una approfondita conoscenza delle sue peculiari caratteristiche ed abilità, si possono attuare strategie per permettergli di essere coinvolto in situazioni definibili rischiose; dunque, viene introdotto il termine “Risky Play”, definito come una pratica ludica comprendente un’attività motoria paurosa, rischiosa e fornita dell’adeguata dose di incertezza, che possa portare ad un infortunio di qualche sorta (Sandseter E. B., 2007). Il Risky Play comprende pertanto attività di:
Scalata, salto, equilibrio, oscillazioni, scivolamenti, corsa, pedalata, utilizzo dello skateboard. Utilizzo di strumenti definiti pericolosi, come coltelli, forbici, corde. Creazione di fuochi, nuotate in mare aperto. Libera esplorazione di spazi naturali come boschi, giocare da soli in luoghi non familiari (Sandseter E. B., 2007).
Nel suo studio del 2012 Sandseter intervista alcuni tutori in scuole norvegesi dove vengono applicati tali principi.
Gli intervistati affermano che le principali componenti che influenzano la buona riuscita di questo tipo di attività sono:
- una profonda conoscenza individuale delle capacità del partecipante;
- un adeguato ambiente, ovvero stimolante, ad esempio un contesto naturale come un bosco, spesso consigliato;
- apertura mentale del tutore, che sappia combattere le proprie paure quando le riconosce come immotivate;
- una struttura legislativa che non comprenda penalità stringenti per infortuni minori come lividi, sbucciature, cadute senza grossi danni, ma che li concepisca come naturale parte della sana educazione di un bambino;
- una struttura lavorativa che lasci spazio anche a regole “non scritte” tra i tutori, che sanno con chi esser più permissivi e con chi più stringenti.
Uno dei tutori afferma: “Potrebbero farsi male, ma devono poter correre qualche rischio, devono sapere cosa significhi cadere. Se non lo imparano da bambini, quando poi saranno adulti e cadranno in situazioni davvero pericolose…Potrebbe essere più seria del dovuto la cosa.” (Sandseter)
È interessante notare come tutti i partecipanti a questo studio affermino che raramente si verificano infortuni, e quando accade non è quasi mai in relazione a quelle attività definite propriamente rischiose. Questo avviene poiché, sostengono, i bambini imparano progressivamente e liberamente a sviluppare alcune capacità, e sono più bravi anche a valutarle in relazione a un problema da risolvere, come può essere scalare un albero molto alto (Sandseter, 2012). Interessante è sottolineare come le statistiche degli infortuni nei parchi giochi mostrino che, nonostante il recente aumento di regolamentazione riguardo gli strumenti presenti e le attività che i bambini vi possono svolgere, questi non siano diminuiti (Chalmers, 2003).
Per concludere, molte ricerche confermano che attraverso giochi comprendenti situazioni rischiose, i bambini e gli adolescenti possono imparare a gestirle, a essere più attenti e consapevoli e possano avere notevoli miglioramenti dal punto di vista motorio (Sandseter, 2012).
Appare a questo punto evidente come l’Art du déplacement, grazie a specifiche caratteristiche, possa essere un ottimo strumento per somministrare questo “rischio ludico”. Sono presenti alcune importanti componenti motorie: salto, scalata, corsa, oscillazioni etc; ma anche di gestione della paura. Infine, l’auto-assessment davanti al movimento rischioso è fondamentale.
Non solo, nell’articolo di Martin Van Rooijen “Parents and risky play, experiences and dilemmas”, l’autore pone come forma di risky play auto-prodotta da alcuni bambini francesi proprio l’Art Du Déplacement (Rooijen, 2014).
Fonti:
Bundy, A. C. (2009). The risk that there is ‘no risk’: A simple, innovative intervention to increase children’s activity levels. International Journal of Early years Education, 17.
Chalmers, D. (2003). Playground equipment safety standards. . Safe Kids News(21), 4. .
Kennair, E. B. (2011). Children’s risky play from an evolutionary perspective: The anti-phobic effects of thrilling experiences. Evolutionary Psichology.
Nestead, M. v. (2016). Influencing factors on professional attitudes towars risk-taking in children’s play: a narrative review. early childhood development and care .
Rooijen, M. v. (2014). Parents and risky play, experiences and dilemmas. International Play Association IPA. Istanbul.
Sandseter, E. B. (2007). Categorizing risky play – How can we identify risk-taking in children’s play? . European Early Childhood Education Research Journal,.
Sandseter, E. B. (2010). Scaryfunny : A Qualitative Study of Risky Play Among. Thesis for the degree of Philosophiae Doctor, Norwegian University of Science and Technology.
Sandseter, E. B. (2012). Restrictive Safety or Unsafe Freedom? Norwegian ECEC Practitioners’ Perceptions and Practices Concerning Children’s Risky Play.
Antonio Gallizzo